Agricoltura intensiva, estensiva o biologica? Ecco perché una sola è davvero sostenibile

L’agricoltura riveste un ruolo centrale nel garantire l’alimentazione mondiale, ma le modalità con cui viene prodotto il cibo sul nostro pianeta sono oggetto di un acceso dibattito, legato alla sostenibilità ambientale, economica e sociale. Negli ultimi decenni la dicotomia tra agricoltura intensiva ed estensiva si è arricchita grazie alla crescente popolarità dell’agricoltura biologica, vista da molti come il modello chiave per un futuro sostenibile. Ma quale forma di agricoltura è realmente sostenibile? Analizzare criticamente queste tre tipologie, mettendo in relazione produttività, impatto ambientale e rispondenza alle esigenze della popolazione globale, è fondamentale per comprendere quale direzione sia davvero percorribile.

Caratteristiche e limiti dell’agricoltura intensiva

Il modello intensivo si basa sull’impiego massiccio di tecnologia, fertilizzanti sintetici e pesticidi per ottenere il massimo rendimento dal suolo, spesso su appezzamenti di superficie ridotta. L’obiettivo primario è l’efficienza produttiva, ovvero ottenere la maggiore quantità di prodotto per ettaro nell’unità di tempo più breve possibile. Questo modello è sorto per rispondere all’esplosione demografica del Novecento, permettendo di abbattere i costi di produzione e garantire la disponibilità di alimenti su larga scala.

Tuttavia, l’agricoltura intensiva presenta evidenti criticità ambientali: l’uso prolungato di composti chimici ha portato a erosione e impoverimento del suolo, contaminazione delle acque, perdita di biodiversità vegetale e animale. È stato ampiamente dimostrato che un tipico campo intensivo ospita forme di vita e di piante utili in misura drasticamente inferiore rispetto a un campo gestito con metodi alternativi. Queste pratiche degradano progressivamente la fertilità dei terreni e accrescono la dipendenza energetica dai combustibili fossili e dai prodotti chimici industriali. Nel lungo termine, ciò riduce la resilienza dei sistemi agricoli, minacciando sostenibilità ambientale e sicurezza alimentareagricoltura intensiva.

Sul piano sociale, va ricordato che i sistemi intensivi danno occupazione a molte persone nella filiera produttiva grazie all’industrializzazione del settore, ma spesso a discapito della salute degli operatori e delle popolazioni che vivono nei pressi delle grandi aree coltivate.

Agricoltura estensiva: pro e contro di un modello meno impattante

L’approccio estensivo predilige l’utilizzo di grandi superfici con bassi input energetici e ridotto ricorso a prodotti chimici. Le rese per ettaro sono quindi più basse, ma si svolgono su aree ampie, spesso marginali o poco fertili, cercando di riprodurre modelli più in sintonia con i cicli naturali. Viene così favorita una maggiore biodiversità sia tra le specie coltivate che negli ecosistemi circostanti.

Dal punto di vista ecologico, questo tipo di gestione mostra indubbi vantaggi: minor consumo di risorse, riduzione della pressione sui terreni, protezione degli impollinatori, minori rischi di inquinamento da sostanze tossiche e di degrado del suolo. L’impatto ambientale risulta complessivamente inferiore per unità di superficie. Tuttavia, questa sostenibilità risulta parziale: la produttività è spesso inadeguata a soddisfare la domanda crescente e la sostenibilità economica risente dei bassi rendimenti e del maggior fabbisogno di estensioni di terreno libero, che rende difficile mantenere alti livelli di occupazione e profittabilità.

In altre parole, sebbene le pratiche estensive siano più rispettose dell’ambiente rispetto alla monocultura intensiva, la loro capacità di sfamare l’attuale popolazione mondiale risulta limitata. Questo compromette la loro effettiva praticabilità su larga scala, specialmente in aree ad alta densità abitativa.

I vantaggi dell’agricoltura biologica

L’agricoltura biologica si basa sul rifiuto di pesticidi e fertilizzanti di sintesi, sull’incentivazione di pratiche agroecologiche come la rotazione delle colture, il compostaggio, la conservazione del suolo e la tutela della biodiversità. I fertilizzanti sono esclusivamente di origine organica e i trattamenti fitosanitari si limitano alle sostanze approvate dai disciplinari biologici certificati.

Gli impatti positivi di questo approccio sono numerosi:

  • Salvaguardia della biodiversità, dimostrata da studi che rilevano un incremento della varietà di insetti e specie vegetali fino al 50% rispetto ai campi intensivi.
  • Tutela della fertilità del suolo: le pratiche biologiche riducono l’erosione e arricchiscono la sostanza organica.
  • Protezione delle risorse idriche grazie alla drastica riduzione di fitofarmaci e sostanze inquinanti.
  • Sicurezza alimentare: i prodotti biologici hanno livelli sensibilmente più bassi di residui chimici.
  • Va però segnalato che, a fronte di questi benefici, il biologico attualmente produce meno derrate per ettaro rispetto ai metodi convenzionali. Ciò porta a necessità di maggiori superfici coltivate per ottenere la stessa quantità di cibo, il che pone il dilemma della cosiddetta “Land Sparing vs. Land Sharing”: quanto spazio terrestre destinare all’agricoltura riducendo il più possibile la pressione sugli ecosistemi naturali.

    Non va infine sottovalutato il valore della agroecologia come disciplina guida per lo sviluppo dell’agricoltura biologica, in quanto fondata su principi di integrazione tra coltivazioni e ambiente naturale.

    Quale agricoltura è davvero sostenibile?

    Alla luce delle considerazioni precedenti, emerge con forza che nessun modello, preso singolarmente, può risolvere tutte le grandi sfide della modernità: soddisfare la domanda alimentare, proteggere l’ambiente, tutelare la salute umana. Tuttavia, la sostenibilità a lungo termine è oggi più vicina all’approccio biologico e agroecologico, integrato da pratiche innovative e da un nuovo paradigma produttivo, rispetto ai modelli puramente intensivi o estensivi.

    Le motivazioni sono molteplici:

  • L’agricoltura biologica dimostra maggiore propensione al rispetto dei cicli naturali e della biodiversità, elemento essenziale per conservare la produttività dei suoli nel tempo.
  • Contribuisce alla mitigazione del cambiamento climatico grazie ai minori input energetici e alla capacità di sequestro del carbonio nei terreni gestiti organicamente.
  • L’uso responsabile delle risorse naturali (acqua, suolo, energia) consente una riduzione degli sprechi e una gestione più equa e resiliente, anche nei confronti di eventi estremi e siccità.
  • Sebbene meno performante per ettaro in termini di volumi, il biologico è potenziabile attraverso innovazioni come la rotazione colturale avanzata, le varietà resilienti e l’integrazione con la zootecnia sostenibile.
  • L’evoluzione futura va quindi nella direzione di una agricoltura sostenibile, che non coincide con il solo biologico certificato, ma si arricchisce delle migliori pratiche dell’intero spettro produttivo: minima lavorazione del terreno, uso ponderato delle risorse chimiche solo se necessario, digitalizzazione e gestione di precisione e, ovviamente, attenzione primaria per la salute degli ecosistemi.

    Non a caso, il concetto di Agricoltura 4.0 sta rivoluzionando il settore: integra tecnologie digitali e dati per ridurre l’impatto ambientale delle coltivazioni, limitare l’uso di fitofarmaci e fertilizzanti e massimizzare l’efficienza idrica, energetica e nutrizionale, orientando il settore agroalimentare verso la vera sostenibilità.

    In sostanza, tra i vari modelli produttivi, ad oggi solo un’agricoltura che pone al centro la tutela della natura, la salute dei suoli, l’inclusività sociale e la salubrità del cibo può essere definita realmente sostenibile. L’adozione diffusa delle pratiche biologiche e il ricorso intelligente all’innovazione rappresentano la strada maestra per un’agricoltura capace di nutrire il pianeta rispettando i suoi limiti ecologici.

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